martedì 31 maggio 2016

Smettere di Fumare non fa male, non inquina ed è un rimedio contro la crisi!

Buongiorno a tutti,

in occasione della "Giornata mondiale senza tabacco", a cui mi sento di aderire, vorrei riprendere la questione del Tabagismo che avevo iniziato nel 2014, presentando una interrogazione, poi ripresa in più volte nella discussione del Collegato Ambientale.
I motivi per smettere di fumare, o almeno per mai iniziare a farlo sono tantissimi. Quello però di fondo, alla base di tutto, è il rispetto reciproco e per l'ambiente in cui si vive.
Nel 2014 mi capitò di assistere ad una mancanza di rispetto, da parte di un fumatore, davanti ad una persona che aveva problemi di bronchi. La ragazza le chiese cortesemente se poteva smettere perché aveva problemi, ma il fumatore irritato dalla richiesta, secondo lui pretestuosa, che ledeva la sua libertà di fumare, le buttò il fumo in faccia. Da quella volta, la mia tolleranza verso il fumo da sigaretta subì un cambiamento di rotta verso la direzione opposta. 

D'altra parte fumare fa male, da assuefazione e dipendenza, altera la coscienza (anche se si tratta di renderla nervosa quando in astinenza) di chi ne assume le sostanze. 

Decisi quindi di scrivere una interrogazione al ministro, tutt'ora senza risposta, e nel farlo mi colpì un calcolo matematico fatto dall'ENEA nel 2010, ovvero che 208.000 fumatori inquinano come 300.000 auto diesel. Rimasi scioccato, controllai i conti diverse volte ma non erano errati. Oggi mi ritrovo davanti un altro esercizio di calcolo che mi ha lasciato a bocca aperta: "Con il risparmio di 13 mesi puoi pagarti un viaggio in Australia".


A voi le conclusioni.

Ivan Catalano

giovedì 26 maggio 2016

Contratto di programma RFI-MIT: tutto open su #OpenCANTIERI

Buongiorno a tutti,

il 10 maggio 2016 è arrivata all'attenzione della Commissione Trasporti della Camera dei deputati, l'aggiornamento 2015 al contratto di programma infrastrutture 2012-2016. Questo è la terza volta che esaminiamo il contratto di programma, la prima volta fu il 19 luglio 2013 e la seconda volta il 13 gennaio 2015.
Una caratteristica che salta subito all'occhio è il fatto che le informazioni sono sempre state trasmesse in formato cartaceo e in tabelle di difficile lettura.
Dal canto mio mi sono sempre adoperato per rendere aperte e fruibili queste informazione in formato OpenDATA. Nel 2013 ebbi uno scambio di opinioni in commissione con l'allora sottosegretario Girlanda, nella quale espressi una condizione nel parere di minoranza nel m5s:
  Ivan CATALANO (M5S) nel riservarsi di fornire un'illustrazione dettagliata dei contenuti della proposta di parere del proprio gruppo in una successiva seduta, esprime disaccordo riguardo a quanto affermato dal rappresentante del Governo riguardo al sistema open data, ovvero alla inopportunità di inserire nel contratto di programma una disposizione che obblighi RFI a rendere pubbliche le modalità di gestione della rete con un sistema di dati aperti, in quanto ritiene che il contratto di programma sia proprio la sede atta a contenere tale vincolo. Chiede quindi al sottosegretario quale sede giudichi più opportuna per l'inserimento di tale clausola.
  Il sottosegretario Rocco GIRLANDA nel fare presente che il Governo condivide l'esigenza della piena trasparenza nell'utilizzo dei dati da parte del gestore, ribadisce che non ritiene opportuno che tale clausola venga inserita nel contratto in esame, e si dichiara disponibile ad accogliere tale impegno nel caso fosse presentato un atto di indirizzo al riguardo.

Depositai una risoluzione di indirizzo in tal senso nel marzo del 2014

Nella discussione del 2015 affrontai ancora questo tema, chiedendo che il monitoraggio fosse fatto dal MIT utilizzando i dati aperti e pubblicandoli in modo fruibile.
  Ivan CATALANO (Misto-PSI-PLI) nel sottolineare che l'articolo 4, comma 1, lettera b) reca l'obbligo, per il gestore, di effettuare il monitoraggio delle opere pubbliche, evidenzia l'esigenza che i dati relativi al suddetto monitoraggio siano resi pubblici dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e da RFI in formato di tipo aperto, per consentirne una più efficace lettura e comprensione. Evidenzia infatti che le tabelle contenute nel contratto di programma risultano di difficile lettura e non consentono la ricerca rapida di informazioni, al pari di quanto sarebbe agevolmente possibile fare mediante strumenti informatici. Chiede pertanto al relatore di inserire nel parere un'apposita indicazione al riguardo. Ritiene inoltre preferibile che i finanziamenti siano concentrati su poche opere, interamente finanziate e individuate tenendo conto della possibilità di completarle, piuttosto che dispersi tra numerosi interventi, ciascuno dei quali è finanziato in misura molto esigua rispetto al costo totale.
Questo mio intervento è stato ripreso poi dal relatore che lo inserì nel parere come segue:
   12) il Governo adotti le opportune iniziative per assicurare che i dati informativi relativi agli investimenti sulla rete ferroviaria e ai lavori in fase di realizzazione e di progettazione, anche sotto il profilo dei finanziamenti, e, più in generale, i dati destinati ad alimentare il sistema informativo di monitoraggio delle opere pubbliche, di cui al decreto legislativo n. 229 del 2011, richiamato dall'articolo 4, comma 1, lettera b) del Contratto di programma in esame, siano forniti in formato di tipo aperto;
Ed eccoci qua. Oggi abbiamo lo strumento e si chiama #OpenCANTIERI. Sono contento che questo impegno che ho sollecitato al governo come meglio ho potuto sia stato realizzato.

Ivan Catalano

martedì 17 maggio 2016

Poste: quale tutela per i consumatori?

Buongiorno a tutti.

Come noto, da tempo Poste Italiane fornisce servizi finanziari, sempre più in concorrenza con le istituzioni bancarie tradizionali. Negli ultimi mesi, sulla base di circostanziate segnalazioni, mi sono interessato alla tutela dei consumatori-investitori, i quali non sempre in passato hanno visto sufficientemente garantiti i loro interessi dalla società pubblica.

Dapprima, con interrogazione 4/12625, ho segnalato al governo che il principale sindacato postale ha denunciato l'esistenza, nell'ambito territoriale siciliano, di gravi pressioni sui dipendenti, in materia di test MIFID e profilazioni, finalizzata a spingere i clienti ad acquistare prodotti finanziari, anche a costo di svalutare i risultati che provengono dal MIFID sopravvalutando le capacità e la consapevolezza del risparmiatore nell'acquisto degli stessi. La questione è di particolare attualità: la cronaca recente ha evidenziato, in occasione del dissesto di Banca Etruria, l'importanza della corretta compilazione e valutazione del MIFID, in assenza della quale i risparmiatori possono essere indebitamente spinti a operazioni finanziarie delle quali non sono in grado di valutare correttamente i profili di rischio. Ho quindi chiesto ai Ministri competenti quali urgenti iniziative intendano adottare al fine di verificare e assicurare il pieno rispetto delle relative norme all'interno di Poste Italiane.

Ancor più recentemente, il 12 maggio scorso, con interrogazione 4/13173, ho invece chiesto notizie in merito a un provvedimento - passato fin ora abbastanza sotto silenzio - con cui la Consob, nel luglio scorso, ha sanzionato Poste e alcuni suoi esponenti di primo piano, per violazione delle norme sui conflitti di interesse e la correttezza della condotte, nonché la normativa in materia di valutazione di adeguatezza degli investimenti. Tali violazioni si erano concretizzate tra l'altro in operazioni di c.d. switch, poste in essere da Poste senza alcun riguardo per l'interesse dei clienti-investitori "vittime".

La Consob, in tale occasione, ha individuato tre specifiche carenze in capo alla società:
  • la mancanza di presidi volti ad intercettare eventuali incongruenze nelle risposte rese dai clienti in fase di profilatura della clientela;
  • l'assenza di meccanismi idonei a ricostruire le modalità di relazione tra operatore e cliente nell'ambito del servizio di consulenza; 
  • la mancata introduzione della verifica di adeguatezza anche sui disinvestimenti, in quanto presunti sempre ad iniziativa del cliente»; 

Ho quindi chiesto al Governo quali eventuali iniziative la società Poste Italiane abbia adottato nei confronti dei dipendenti di cui in premessa a seguito dell'accertamento della Consob, e soprattutto
se risulti al Governo che le carenze indicate dalla Consob nella delibera n. 19283 del 30 luglio 2015 siano state affrontate e corrette, e con quali interventi.

Continuo a vigilare.

Ivan Catalano

lunedì 16 maggio 2016

Circolare della Polizia Stradale su Uber Pop, tra menzogne e giochi elettorali.

Buongiorno a tutti.

Qualche giorno fa, molti taxi milanesi hanno incrociato le braccia, dando vita a uno sciopero selvaggio che ha causato numerosi disagi a milanesi e turisti. Era stata infatti diffusa la notizia, falsa, che il Ministero dell'Interno avesse dato istruzioni alle Prefetture di non sanzionare più gli autisti Uberpop.

Uberpop, di cui ci siamo occupati fin dagli esordi, è un servizio di intermediazione - accessibile tramite l'app Uber - tra la domanda e l'offerta di trasporti di persone tra privati.Come statuito da un ordinanza del Tribunale di Milano della primavera 2015, in Italia non è consentito operare un simile genere di servizio, in quanto la materia del c.d. trasporto pubblico non di linea è coperta da norme pubblicistiche. Fuori dal campo del trasporto di cortesia e del carpooling, gli unici soggetti legittimati a fornire servizi di trasporto di persone con autovetture sono i taxi e gli ncc.

Accertata l'abusività intrinseca del servizio Uberpop (e solo di quello), forze di polizia e magistratura hanno dovuto scontrarsi con un dilemma interpretativo, ossia se ci si trovi in presenza di una prestazione abusiva di servizio ncc (con violazione dell'art. 85 del Codice della Strada) o di prestazione abusiva di servizio taxi  (con violazione dell'art. 86 del C.d.S.). La questione non è marginale, in quanto dall'erronea qualificazione discende l'illegittimità, e quindi l'annullamento della sanzione, come già avvenuto nella prassi.

Da qui scaturisce la richiesta, inoltrata dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno al Consiglio di Stato, di un parere in materia. La sezione prima, con sentenza 25 novembre 2015, ha esaminato la questione e ha ritenuto che, allo stato, non sia possibile individuare quale delle due norme sia applicabile, in ragione delle differenze che distinguono Uberpop sia dal taxi, sia dall'ncc, e dal suo atteggiarsi come un tertium genus. Preso atto di tale problematica, il Consiglio di Stato si è quindi rivolto direttamente al legislatore, osservando che "la disciplina quadro del servizio pubblico di trasporto non di linea, di fronte alle nuove caratteristiche di mobilità che si sono affermate, mostra i segni del tempo e dello sviluppo dell’innovazione tecnologica, per cui si pone il problema di verificare se, ora come allora, le nuove tipologie di trasporto di persone non di linea, siano ammesse o vietate e, nella prima ipotesi, se siano ad esse applicabili i principi della legge quadro – con le relative sanzioni – oppure se esse siano espressione della libertà contrattuale delle parti. Tale incertezza perdurerà sino a quando il legislatore non interverrà con una disciplina che sia realmente in grado di ricomprendere sotto la propria vigenza tutta la possibile gamma di servizi di trasporto, siano essi da qualificare come pubblici o privati, in relazione alle proprie concrete modalità di svolgimento". Così il massimo organo ausiliario del Governo, nonché organo di vertice della Giustizia amministrativa,  ha dato un'ulteriore, autorevole conferma dell'obsolescenza della Legge n. 21 del 1992.

A questo punto, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, con circolare dell'11 maggio scorso, proprio per le ragioni esposte sopra, ha invitato i dirigenti di Polizia Stradale a non contestare più la violazione degli articoli 85 e 86 del C.d.S., ferma restando la contestazione della violazione di cui all'art. 82 C.d.S., che punisce con una sanzione pecuniaria e con la sospensione della carta di circolazione chiunque destini un veicolo per un uso diverso da quello di immatricolazione.

Nessuna legalizzazione di Uberpop quindi, ma solo la definizione delle violazioni da contestare o meno, anche al fine di prevenire infiniti rivoli giurisprudenziali. Mi sia consentito di dubitare della buona fede di chi ha artatamente gonfiato e alterato la realtà, diffondendo una notizia falsa e organizzando la conseguente agitazione dei taxi. Si avvicinano le amministrative, e forse qualcuno sentiva il bisogno di mostrare i muscoli e ricordare quanto può essere decisivo il proprio blocco di voti. E' singolare, tra l'altro, che una manifestazione fatta per invocare - impropriamente, ma questo è un altro discorso - la legalità venga posta in essere in grave e flagrante violazione delle norme che regolamentano i fermi nei servizi pubblici. Per cui mi auguro, quantomeno, che l'Autorità Garante provveda a un celere accertamento delle responsabilità e punisca gli organizzatori dell'illecito.

A presto,

Ivan Catalano

PS: questa circolare, dopo quella redatta dal MIT, è la seconda dopo l'approvazione del mio Ordine del Giorno.

Sharing Economy e Trasporto di Persone: normiamo il carpooling

La Camera dei Deputati si appresta a discutere la proposta di Legge C. 2436, a prima firma del deputato Dell'Orco (M5S), in materia di car pooling. A fronte della diffusione di tale modalità di trasporto, si è fatta sempre più pressante l'esigenza di disciplinare a livello normativo il fenomeno. L'opportunità di un tale intervento deriva, primariamente, dalla necessità di distinguere con certezza le forme lecite di condivisione del veicolo dalla prestazione abusiva di servizi di trasporto di persone. Per ora, il discrimine è stato provvisoriamente delineato dalla giurisprudenza, al termine della nota vicenda Uberpop. Tuttavia, come si osserverà nel prosieguo, questo profilo non esaurisce le esigenze di regolamentazione della materia.

Passiamo ora ad analizzare l'articolato della P.d.L. Dell'Orco. Per quanto riguarda il primo articolo, l’unica parte  apprezzabile è il riferimento al Decreto del Ministro dell'ambiente 27 marzo 1998, che contiene il primo e più importante riconoscimento legislativo, fino ad ora, del car pooling, mentre il resto appare  superfluo..

L'articolo due contiene la seguente definizione legale di car pooling: "sistema di trasporto basato sull'uso condiviso di veicoli privati tra due o più persone che devono percorrere uno stesso itinerario, o parte di esso, messe in contatto tramite servizi dedicati forniti da intermediari pubblici o privati, anche attraverso l'utilizzo di strumenti informatici". La prima parte della descrizione contiene una sintesi efficace, e tuttavia non priva di criticità. Il carpooling non è, infatti, un "sistema", ma una "modalità" di trasporto. La questione può sembrare meramente terminologica, ma il diritto è una scienza linguistica. Non si comprende poi il senso di limitare la definizione di car pooling a quello svolto per il tramite di "servizi dedicati forniti da intermediari", in quanto alcune delle più significative e pionieristiche iniziative di car pooling si sono sviluppate a livello aziendale, attraverso l'organizzazione diretta da parte dei beneficiari stessi. Limitare il carpooling a quello svolto tramite intermediazione, e quindi essenzialmente tramite piattaforme informatiche, terrebbe fuori esperienze valide e del tutto coerenti con le finalità della presente Legge, sembrerebbe una legge fatta ad-hoc per qualcuno, ma non vogliamo essere maliziosi con il M5S

Lo stesso articolo prevede poi che il car pooling non costituisca attività di impresa e, soprattutto, ne delinea il confine rispetto alla fornitura di servizi di trasporto abusivi. Per esservi car pooling, il conducente non deve ricevere più di un rimborso spese. Inoltre - e anche questo sarebbe opportuno inserirlo espressamente nella definizione - l’attività non deve essere svolta al livello professionale. I proponenti indicano specificamente, ai fini di quantificazione, le tabelle ACI. La scelta di individuare un riferimento preciso ha il pregio di una maggiore certezza, al costo di una minore flessibilità e di una certa arbitrarietà: io propendo per lasciare uno spazio di manovra più libero, purché chiaro e preventivamente concordato..

Per me la proposta potrebbe anche terminare qui. Una legge snella, semplice ed efficace, che è stata però inutilmente appesantita dagli altri 2 articoli. Il terzo articolo impone alle amministrazioni, agli enti pubblici e alle imprese con più di 250 addetti di riservare, "nei propri siti internet e intranet istituzionali uno spazio dedicato a fornire informazioni relative al car pooling, anche consentendo l'accesso tramite appositi collegamenti ipertestuali ai servizi dedicati operati attraverso l'utilizzo di strumenti informatici da intermediari pubblici o privati, previa richiesta da parte di questi ultimi" e prevede pesanti sanzioni in caso di inottemperanza. Il mio giudizio sul punto, più che giuridico, è necessariamente politico. Questa previsione appare eccessivamente rigida. Rischia di recare più danni sotto forma di costi economici e aggravi burocratici sulle PA e sulle imprese, che benefici. Viene poi prevista l'organizzazione di campagne di informazione e di educazione da parte del Ministero dell'Ambiente e del MIT, senza però destinare alcuna risorsa specifica a tal fine. Nel complesso, è auspicabile che l'intero articolo scompaia, o quantomeno venga radicalmente modificato, prima di arrivare in aula.

Il quarto articolo, rubricato "Fondo per la crescita sostenibile – promozione del car pooling", aggiunge infine, fra le finalità del "Fondo per la crescita sostenibile", disciplinato dal comma 2 dell'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46,  e dal comma 2 dell'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, quella di promuovere "progetti di ricerca, sviluppo e innovazione nel settore del car pooling".

A questo punto, è doveroso invece evidenziare altri profili che non vengono minimamente presi in considerazione dal testo attuale della proposta di Legge, malgrado l'esistenza di una pressante esigenza di regolamentazione.
Occorre innanzi tutto armonizzare il testo per renderlo coerente con la proposta di legge che è incardinata, sempre in trasporti, della Sharing Economy. Bisogna dare altre 2 informazioni principali all’autorità che regolerà la disciplina dell’economia della condivisione: “il rimborso costituisce reddito?” e “c’è una natura contrattuale?”.
Entrambe non vengono minimamente affrontate. non viene qualificato il tipo di rapporto che si instaura tra il conducente e il passeggero. Alcuni intermediari sostengono che si tratti di un trasporto amichevole, o di cortesia, e che quindi non si instauri alcun rapporto contrattuale tra le parti. Io non ritengo si tratti di semplice cortesia. Sulla scorta di un risalente e ben consolidato indirizzo, la giurisprudenza ha sancito che si possa parlare di un trasporto di cortesia unicamente solo quando non vi sia alcun interesse giuridicamente apprezzabile del vettore all'esecuzione del trasporto stesso. E invece, nel car pooling, qualora venga prevista una contribuzione alle spese da parte del trasportato, sussiste un evidente interesse giuridicamente apprezzabile del vettore ad averlo a bordo. Si tratta, tra l'altro, di un interesse non meramente morale, ma economico e potenzialmente significativo: si pensi, su una tratta medio-lunga, a un abbattimento delle spese che può arrivare anche all'80% delle stesse. Sarebbe quantomeno paradossale negare l'esistenza di un contratto gratuito di trasporto in questi casi, dopo che la giurisprudenza lo ha ritenuto sussistente in casi nei quali l'interesse del vettore si risolveva nel semplice "godimento dell'altrui compagnia" (v. Cass. Civ. nn. 5098/1981 e 3223/1989). É  opportuno prevedere che, in presenza di un rimborso delle spese da parte del trasportato, si configuri un vero e proprio contratto di trasporto gratuito, con la conseguente applicabilità dell'art.1681 codice civile. Qualora invece il conducente non richieda alcun contributo da parte del trasportato, ben potrà applicarsi la disciplina del trasporto amichevole. In questo modo, si rafforzerebbe la coerenza sistematica della disciplina in materia, affrontando la problematica del rapporto tra trasporto gratuito e trasporto amichevole nel car pooling sulla base degli stessi criteri plasmati dalla giurisprudenza per le altre modalità di trasporto. Questo sembra un passaggio inutile ma non lo è. A seconda di come individui la natura del rapporto giuridico che intercorre tra le parti, si configurano diversamente la responsabilità e il livello di tutela del consumatore del servizio. Con il contratto gratuito rientriamo nella responsabilità contrattuale, coperta ampiamente dalla RC auto e con l’onere della prova del danno a carico di chi lo cagiona. Nel rapporto di cortesia invece si rientra nella responsabilità Extra-contrattuale e ciò comporta una tutela giuridica del trasportato diversa, con l’onere della prova a carico del danneggiato.

Infine, a livello di Codice della Strada, sarebbe opportuno prevedere espressamente che il veicolo con il quale si effettua car pooling debba essere omologato per uso proprio o per locazione senza conducente, così da consentire che una auto sia presa a noleggio per condividere un viaggio anche tra amici..

In conclusione, la proposta ha avuto il merito di iniziare la riflessione legislativa in materia di car pooling. Tuttavia, nella sua formulazione attuale, la P.d.L. Dell'Orco è inidonea a soddisfare le esigenze di regolazione della materia già emerse. Confido nel lavoro della Commissione e dell'aula per correggerla nella direzione indicata. Ricordo che ho avuto modo di sottolineare le prime criticità in occasione dell’incardinamento del provvedimento (1, 2) e inserendo nella mia proposta di riforma della 21/92 anche una voce sul carpooling.

Ivan Catalano


sabato 14 maggio 2016

Commissione Uranio Impoverito e vaccini: il primo importante risultato!

Buongiorno a tutti,

il 26 febbraio 2016 il Governo ha trasmesso alla Camera dei Deputati lo schema di decreto legislativo, atto n°277, recante disposizioni integrative e correttive ai decreti legislativi 28 gennaio 2014, n. 7 e n. 8. L'esame in commissione difesa è iniziato il 10 marzo 2016. La commissione uranio impoverito, di cui sono vicepresidente, si è accorta che all'articolo 12 era contenuta una norma che se approvata avrebbe compromesso il lavoro della commissione di inchiesta, in quanto prevedeva che:
«ART. 206-bis

(Obbligo relativo alla profilassi vaccinate del personale militare)
1. Il personale militare in servizio, incluso quello in fase di fornazione, addestramento e richiamato, ha l'obbligo di sottoporsi alla profilassi vaccinale e alle altre misure di profilassi infettivologica previste dagli appositi protocolli sanitari per le specifiche tipologie di impiego, in territorio nazionale o all'estero.
2. Con decreto del Ministro della difesa, adottato di concerto con il Ministro della salute, sono approvati i protocolli sanitari di cui al comma I predisposti dallo Stato maggiore della difesa, sentita ciascuna Forza armata. Tali protocolli recano, altresì, l'indicazione delle cautele e degli accertamenti da eseguire al fine di ridurre o escludere, per quanto consentito dalle conoscenze scientifiche acquisite, i rischi derivanti dalle modalità di somministrazione dei vaccini.»;
L'inserimento dell'obbligo di sottoporsi alla profilassi vaccinale, è stato un tentativo della Difesa di bypassare il problema emerso nella passata legislatura, riscontrato, tra l'altro, dalla commissione di inchiesta sull'uranio impoverito, ovvero che alcuni militari disobbedivano all'ordine di servizio di sottoporsi alla profilassi vaccinale. Tale atto veniva ritenuto dalla Difesa come reato di disobbedienza e insubordinazione, ma così non è. Nella relazione conclusiva della passata legislatura a pagina 116 si legge che:
Ciò premesso, occorre valutare questa complessa e delicata questione anche alla luce dell’articolo 32, secondo comma, della Costituzione, nel quale si stabilisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge: attualmente l’obbligo dei militari ad assoggettarsi alle vaccinazioni è stabilito dal già ricordato Decreto ministeriale del 2003 che non ha forza di legge, e quindi non può derogare al principio costituzionale della volontarietà per quel che riguarda la sottoposizione a trattamenti sanitari, salva la riserva di legge. Né, d’altra parte, l’articolo 182 del Codice dell’ordinamento militare – richiamato nell’audizione del 19 dicembre 2012 dal ministro Di Paola – appare del tutto idoneo a fornire una adeguata copertura normativa di rango primario al predetto obbligo, considerato che esso al comma 4 demanda alla sanità militare il compito di adottare, nel proprio ambito, la normativa vigente in materia di sanità pubblica, mentre, attesa la riserva costituzionale di legge, occorrerebbe una disciplina di rango primario ad hoc. Pertanto, stante l’attuale assetto normativo, e l’incerto fondamento legale del dovere di obbedienza per il caso specifico, occorrerebbe, ad avviso della Commissione, considerare non sanzionabile il rifiuto motivato di sottoporsi, in parte o del tutto, a pratiche vaccinali, da parte del personale militare.
Il Presidente della Commissione di Inchiesta, On. Scanu (1, 2 e 3) mediante una lettera firmata da tutti i membri della stessa, ha fatto notare questo passaggio in commissione Difesa, di cui è membro, invitando il relatore del parere ad inserire una condizione vincolante, che mira a modificare l'articolo 12, modificandolo come segue:
«ART. 206-bis. — (Profilassi vaccinale del personale militare).1. La sanità militare può dichiarare indispensabile la somministrazione secondo appositi protocolli di specifiche profilassi vaccinali al personale militare, per poterlo impiegare in particolari e individuate condizioni operative o di servizio, al fine di garantire la salute dei singoli e della collettività.2. Con decreto del Ministro della difesa adottato di concerto con il Ministro della salute sono approvati i protocolli sanitari di cui al comma 1 che recano altresì l'indicazione analitica degli adempimenti riferiti alla somministrazione dei vaccini, quali quelli di comporre il quadro anamnestico del paziente prima di iniziare le profilassi vaccinali e di registrare su apposita documentazione, anche elettronica, riferita a ciascun militare tutte le profilassi vaccinali adottate nei suoi confronti.3. Se il militare da sottoporre a profilassi vaccinale rappresenta documentati motivi sanitari per non sottoporsi alla profilassi, la valutazione di merito è rimessa alla commissione medica ospedaliera competente per territorio.»;
L'approvazione di questo parere è stato il primo successo della commissione di inchiesta. La commissione sta lavorando molto e in questa legislatura ha l'obbiettivo di concludere la sua opera, portando ad un alto livello il patto che lo stato ha con il militare che lo serve. La commissione vuole operare in collaborazione con l'amministrazione della Difesa, non siamo contro nessuno ne vogliamo distruggere niente ma solo migliorare le cose.

Ivan Catalano

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