La rapida diffusione di dispositivi elettronici personali, connessi a internet e dotati di localizzatori gps, e la parallela espansione di internet, sia dal punto di vista dell'ampiezza di rete, sia della capacità complessiva, stanno determinandoun vero e proprio cambio di paradigma delle modalità di incontro tra domanda e offerta di numerosi servizi, dal trasporto di persone (professionale, come Uber, o in forma di carpooling, come BlaBlaCar) all'affitto di immobili (Airbnb). Da poco hanno fatto ingresso sul mercato italiano anche servizi di transport sharing di cose. Una startup dal nome di Icarry, recentemente formata da un gruppo di giovanissimi italiani, si propone di mettere in contatto l'offerta e la domanda di trasporto di beni. Nell'incontro con i soci, abbiamo potuto positivamente constatare la loro intenzione di muoversi nella legalità e di impegnarsi per prevenire possibili abusi. Ma non è l'unica società attiva. Ci risulta anche l'esistenza di un competitor chiamato boxshare e, verosimilmente, ne esistono o ne esisteranno in futuro altri.
Da ultimo, secondo notizie che si ripetono da tempo, anche giganti quali Uber e forse Amazon sembrano intenzionati a utilizzare sistemi di questo tipo per trasportare cose in Italia.
Questa forma di trasporto decentrato e condiviso pone questioni simili a quelle che discendono dalla diffusione del carpooling. In particolare, diventa fondamentale trovare un criterio di discrimine tra uso lecito delle potenzialità consentite dalle nuove tecnologie e usi che invece si risolvono in abusivismo e concorrenza sleale.
Per il carpooling, io e la mia segreteria riteniamo, in linea con le argomentazioni già fatte proprie dalla Corte di Cassazione francese e recentemente ribadite dalla Corte Costituzionale transalpina, che il discrimine sia costituito dalla natura della dazione di denaro che accompagna il servizio. Se essa si ferma a un rimborso spese, il trasporto è lecito e inquadrabile come "trasporto di cortesia", se invece essa è maggiore costituisce una remunerazione, e quindi si è in presenza di un vero e proprio servizio, nonché contratto, di trasporto. Se vi è un servizio di trasporto vero e proprio, i conducenti e i gestori devono sottostare a tutte le relative norme del Codice della strada - in particolare quanto a omologazione dei veicoli - e delle Leggi speciali in materia.
In un senso simile si è orientata anche la prima giurisprudenza nazionale (la nota ordinanza del Tribunale di Milano su UberPop), che ha fatto proprio, come criterio di discrimine, l'esistenza o meno di un interesse proprio o meno del conducente a compiere il tragitto. Riteniamo che detto criterio debba essere correttamente interpretato nel senso di “interesse prevalente”. Dovrebbero ritenersi infatti ammissibili piccole variazioni di tragitto rispetto a quello seguito, in assenza di pooling, dal conducente, ma alla condizione che tali variazioni non siano di tale entità da rendere del tutto secondario l’interesse del conducente al compimento del complessivo tragitto. D’altra parte, anche questo criterio conduce a una valutazione di liceità che - come dimostra la stessa ordinanza citata - non può prescindere dalla verifica della natura, di rimborso spese o di vera e propria remunerazione, dell'eventuale dazione di denaro.
Considerazioni logiche mi suggeriscono di risolvere nei medesimi termini anche la questione della liceità del trasporto condiviso di cose. E' socialmente positivo che dei conducente privati, per tragitti già previsti, carichino dei beni sui propri veicoli così ottimizzandone l'efficienza di carico. In tal modo, si riduce il numero complessivo di veicoli circolanti a parità di domanda di trasporto. Al contrario, se dei privati si improvvisano autotrasportatori e, senza averne una necessità propria - ma al fine di trarne un utile - iniziano a circolare per trasportare beni per conto di terzi, il pregiudizio che ne trae la società è netto. Aumentano, invece che diminuire, sia la congestione, sia l'inquinamento e si genera un'inaccettabile concorrenza sleale verso gli autotrasportatori professionali, tenuti a numerosi adempimenti burocratici, fiscali e di sicurezza. E' quindi necessario vigilare per impedire che si sviluppino servizi di intermediazione con caratteristiche tali da favorire nuove forme di abusivismo. Lo svolgimento, anche solo occasionale, di attività di trasporto di cose al fine di ottenere una remunerazione (superiore a un mero rimborso spese) non può prescindere dall'osservanza di tutte le norme di legge che disciplinano il settore del conto terzi, a cominciare dall'iscrizione all'Albo.
Intendo continuare a seguire la questione, in continua collaborazione con gli attori istituzionali coinvolti, con i soggetti del trasporto e con i fornitori di servizi telematici di intermediazione. In particolare, mi sono rivolto all'Autorità di Regolazione dei Trasporti e all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, affinché, nei limiti delle loro competenze, valutino l'opportunità di adottare delle linee guida in materia.
A presto.
Ivan Catalano
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