Dalla sua uscita, su La Stampa dell'otto febbraio scorso, la notizia del contratto che dovranno firmare tutti i candidati del Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni amministrative a Roma ha suscitato scalpore.
Esso prevede tutta una serie di obblighi per gli eletti, tali da ridurre se non annullare la loro autonomia politica. Significativa in tal senso è, per esempio, la previsione che "le proposte di atti di alta amministrazione, e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico legale a cura dello staff coordinato dai garanti del M5S". I garanti sono, ovviamente i signori Grillo e Casaleggio, che sostanzialmente potrebbero dare o negare il loro placet a qualsiasi atto significativo dei consiglieri o - addirittura - dell'eventuale sindaco eletto! Un potere non proprio secondario per persone che formalmente non vogliono neppure essere definiti "capi".
Non credo serva approfondire i problemi posti dalla previsione secondo la quale la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini debba necessariamente passare attraverso il blog di Grillo. Si tratta - ricordo - di un sito internet strabordante di pubblicità, e di proprietà di una società privata (come l'M5S, d'altra parte). Un tale asservimento di elementi connessi all'esercizio di funzione pubblica a un interesse patrimoniale privato non mi stupisce. In Italia si è visto di ben peggio nell'ultimo ventennio. Proprio per contrastare queste pratiche, che sfortunatamente non hanno colore politico, è oggi in discussione una Legge sul conflitto di interessi. Tuttavia, sarebbe bene che i miei ex colleghi del Movimento, sempre pronti a denunciare ogni supposta corruzione o conflitto di interessi altrui, analizzassero anche la propria azione e quella del loro partito non-partito con un po' del senso critico che riservano agli altri. Come sempre, il mito della purezza morale si sgretola impietosamente di fronte al potere. Ma coloro che ne cadono vittime finiscono per giustificare ogni propria azione e diventano impermeabili a ogni critica o autocritica.
Altre sono però le disposizioni davvero problematiche in riferimento al nostro ordinamento costituzionale. Da sempre, nella storia della nostra Repubblica, i partiti hanno esercitato una significativa influenza sui "propri"eletti. Si sono infatti escogitati i più vari strumenti per mantenere la disciplina di partito. I costituenti avevano ben chiaro il rischio di un totale annullamento dell'eletto in un semplice burattino di partito, e per questo hanno messo nero su bianco l'art. 67 della Costituzione.
Qualsiasi strumento per disciplinare i propri eletti incontra questo limite: esso non può andare a instaurare, anche surrettiziamente, un vincolo di mandato. Un eletto "dissidente" può essere privato delle cariche partitiche, può essere espulso dal partito e dal Gruppo di appartenenza, può essergli negata collaborazione a livello locale, può essere criticato (con il limite della diffamazione) ma mai può essere costretto a dimettersi dalla propria carica istituzionale.
Dimissioni che nel contratto di cui sopra, diventano invece un esplicito obbligo in capo all'eletto "qualora sia ritenuto inadempiente al presente codice (...) con decisione assunta da Beppe Grillo o Gianroberto Casaleggio o dagli iscritti M5S mediante consultazione online". L'obbligo è presidiato da una sanzione di 150.000 Euro da versare sulla base della sola notifica di una contestazione da parte dello "staff", sanzione che viene rivestita della qualifica di risarcimento del danno all'immagine del M5S.
Il mio consigliere legislativo, Dott. Gabriele Fiorentini, al quale ho chiesto un parere sulla validità giuridica di tale statuizione, ha risposto quanto segue.
Sulla base degli estratti apparsi sulla stampa, la previsione in oggetto pare doversi qualificare come una clausola penale ex art. 1382 del codice civile. Con tale clausola, secondo la tesi prevalente, le parti accettano di predeterminare in via anticipata e forfettaria il danno derivante dall'eventuale inadempimento di una obbligazione. Il danneggiato viene in tal modo esonerato dalla necessità di provare il danno e la sua entità. Rimane, a tutela del debitore, la possibilità per il giudice di ridurre l'entità della penale di ammontare manifestamente eccessivo, ex art. 1384 c.c..
Tuttavia, il complesso delle disposizioni del contratto, comprensivo della clausola, non ha una funzione primariamente patrimoniale. Infatti, la funzione del contratto, esplicitata dai suoi proponenti e pure ricavabile dall'insieme delle disposizioni, è quella di limitare gravemente l'autonomia politica dell'eletto. E ciò non solo in relazione al mantenimento dell'appartenenza al partito, ma addirittura nell'esercizio delle principali funzioni istituzionali, coartando la volontà dell'eletto a vantaggio di soggetti estranei all'Istituzione di appartenenza e privi di mandato elettorale.
Ciò pare in contrasto con il divieto di mandato imperativo. Sebbene l'art. 67 si riferisca ai soli membri del Parlamento, si ritiene pacificamente che il divieto abbia la natura di principio generale dell'ordinamento (v. T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, sentenza del 9 marzo 2009, n. 75). Inoltre, anche la Carta Europea delle Autonomie Locali del 1985, firmata in sede di Consiglio d'Europa riafferma, all'art. 7 il divieto di mandato imperativo in riferimento, appunto, agli enti locali. Vale la pena di ricordare che la Legge. 30 dicembre 1989, n. 439, di ratifica ed esecuzione di tale Convenzione internazionale, ha quindi trasfuso questa previsione anche nel diritto interno, tra l'altro con una disposizione che, per la sua origine internazionale, ha una forza superiore alle Leggi ordinarie in virtù del disposto di cui all'art. 117, comma 1, Cost.
Ciò premesso, ritengo che il contratto, almeno in riferimento alle disposizioni qui esaminate, dovrebbe essere considerato nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c., poiché la sua causa (ossia la sua funzione tipica) è contraria a principi di ordine pubblico, ex art. 1343 c.c.. Certamente, in caso di violazione del contratto, l'eletto potrà essere chiamato a risponderne, politicamente, di fronte agli elettori (come nel caso del noto e non rispettato "contratto con gli Italiani" di Silvio Berlusconi). Al contrario, se convenuto in giudizio, ne uscirà verosimilmente vittorioso.
Come ultima nota, pare allo scrivente che l'impegno assunto dall'eletto possa però qualificarsi come "obbligazione naturale", esecutiva di un dovere morale o sociale ex art. 2034 c.c., con la conseguenza che qualora l'eletto inadempiente paghi la penale, non potrà chiederne la ripetizione in ragione della nullità del contratto.
La questione non mi tocca direttamente, ma mi convince sempre più delle mie scelte passate. Francamente, pur nel rispetto e nella disponibilità a collaborare con i colleghi M5S, non mi riconosco neppure più in minima parte in un movimento che ha imbracciato una deriva sempre più padronale, autoritaria e illiberale.
A presto
Ivan Catalano
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