Buona sera a tutti.
Con questo post vorrei cercare di riflettere su una questione che ho imparato essere centrale nel dibattito politico, ossia l'uso delle parole. Come si sa la comunicazione delle idee, ma anche dei fatti, è fondamentale in politica. Comunicare in modo sbagliato altera la percezione di chi riceve la comunicazione e viceversa è possibile manipolare la percezione alterando volontariamente la comunicazione politica.
Prendiamo il caso della comunicazione politica incentrata sul concetto secondo il quale fare politica "è una guerra" o "una battaglia".
Considerare la politica una guerra vuol dire che sicuramente ci saranno perdenti e vincitori, amici e nemici, vittime, sopravvissuti, distruzione, alleanze, strategie, rese ed armistizi. Fa considerare le parti come eserciti, concepisce gerarchie, l'alienazione della volontà dei singoli al fine di una "disciplina di partito". Saranno punite le diserzioni, i cambi di idea e il pensiero libero, perché in guerra non hai tempo di pensare e riflettere devi obbedire o il nemico ti farà fuori.
Vi faccio un esempio, legato alla mia esperienza politica, di come la comunicazione cambia i contenuti politici (ho scritto già qualcosa in merito).
Beppe Grillo ha sempre detto che il m5s era un luogo di confronto, di discussione tra liberi cittadini e che non si avevano preconcetti sulle proposte, se erano ragionevoli si sarebbero votate. Ma se si dice che "è una guerra" mica ti puoi mettere a discutere le proposte del "nemico", altrimenti il tuo "esercito" penserà che ti sia arreso, e che hai firmato un "armistizio", e che quindi hai perso. La conseguenza è che mentre per creare un movimento plurale al suo interno, democratico e capace di valutare ci sono voluti anni, con una comunicazione politica ti sei giocato tutto e hai trasformato tutto in pochi minuti.
Un altro esempio è l'uso delle parole "risorse pubbliche". Ma cosa sono le risorse pubbliche? Wikipedia le definisce così: "Le risorse pubbliche provengono fondamentalmente dai prelievi fiscali, contributi obbligatori, spesso completate dai mutui. Gli introiti derivanti dai timbri postali o marche da bollo etc.." sostanzialmente quindi si tratta del frutto di tasse e imposte.
Se nel proporre un'azione politica parlo genricamente di risorse pubbliche, chi mi ascolta percepisce un distacco, come se le risorse pubbliche venissero recuperate dallo stato da chissà dove. In più creo un dubbio nei cittadini che non conoscono i meccanismi della finanza pubblica, ovvero ma dove finiscono le mie tasse?
Se invece uso le parole "tasse dei contribuenti" sono chiaro, immediato. Ripetere ogni volta queste parole aiuta a tenere legato il legislatore alla fonte di quelle risorse che poi ha il mandato popolare di scegliere come spendere, se deve spenderle. Il cittadino dal suo canto capisce subito di cosa si sta parlando e comprende come vengono utilizzate le tasse che paga.
Il politico in questo modo è responsabilizzato e finisce - si spera - di generare marchette, forse riuscendo così a diminuire la pressione fiscale a carico del contribuente.
Di questi esempi ce ne sono tanti, ma due movimenti in comunicazione che puntano ad usare sempre parole di altri ambiti in politica e parole di difficile comprensione a chi non è addetto ai lavori, causano scollamento e fraintendimenti, ma contemporaneamente soffocano la volontà di capire e di reagire delle persone.
Ivan Catalano
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