Insieme all'Avv. Gabriele M. Fiorentini, del mio ufficio legislativo, ho redatto negli scorsi giorni un breve commento sullo stop imposto dal Tribunale di Roma al servizio Uber Black. Benché tale stop sia stato sospeso in sede di reclamo, la questione non è ancora definita, e il testo che segue è quindi pienamente attuale. Si tratta di una serie di riflessioni inevitabilmente a caldo, rispetto alle quali, in un'ottica più a lungo termine, siamo più che disponibili a confrontarci da un punto di vista giuridico e politico-legislativo.
Il 7 aprile scorso, la sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Roma, ad esito di procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. (R.G.76465/2016), si è pronunciata in merito alla legittimità dei servizi offerti da Uber in Italia, con una sentenza di sicuro impatto per tutto il settore del noleggio con conducente (nel prosieguo, NCC). Gli scriventi intendono qui esaminare alcune delle questioni giuridiche alla base di tale decisione, anche al fine di stimolare una riflessione sulla disciplina vigente in materia di servizi pubblici non di linea e sull’opportunità di una sua riforma.
Fra le prime questioni di merito, il giudice ha dovuto valutare se dovessero ritenersi effettivamente in vigore le modifiche alla L. 21/1992 introdotte dall’art. 29, comma 1-quater del decreto-legge n. 207/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14/2009. Attraverso tali modifiche, il legislatore aveva previsto, per i servizi di noleggio con conducente, già precedentemente regolamentati, una serie di prescrizioni particolarmente rigide, se non proprio punitive. Il Governo allora in carica, a fronte della grave portata anticoncorrenziale delle nuove norme - censurata dalla stessa AGCM - pose rimedio immediatamente. Attraverso l’articolo 7-bis, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’entrata in vigore delle norme di cui al citato art. 29, co. 1-quater. Tuttavia, a causa di un mancato coordinamento del successivo articolo 2, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 e, a catena, di tutte le proroghe disposte di anno in anno da allora, dal 2010 è scaturito un grave conflitto interpretativo tra organi giudiziari, forze di polizia e, addirittura, diversi poteri dello Stato, avente ad oggetto proprio l’entrata in vigore o meno delle disposizioni de qua.
Il Tribunale di Roma ha tuttavia rilevato che tale conflitto interpretativo deve oggi ritenersi risolto, o quantomeno superato, a seguito dell’entrata in vigore della Legge di conversione del D.L. 244/2016, Infatti, attraverso l’art. 9, comma 3 di tale Legge, il legislatore, “come desumibile dalle espressioni usate -‘conseguentemente’; ‘si intende’ – ha voluto interpretare, quindi con effetto retroattivo, le norme contenenti le precedenti proroghe riguardanti il termine di adozione del decreto ministeriale previsto dal d.l. 25.3.2010 n.40, nel senso di ritenere differito, con dette proroghe, anche il termine di efficacia dell’art.29 comma 1 quater del d.l. n.207 del 2008.” Il giudice ha aggiunto che, anche qualora si volesse negare la natura di norma di interpretazione autentica del citato art. 9, comma 3, comunque esso disporrebbe, dalla propria entrata in vigore, una nuova sospensione. Le norme dell’art. 29, co. 1-quater, quindi, non sono in vigore.
Dall’esame della disciplina legale di taxi e NCC, il giudice ha rilevato la natura essenzialmente locale di tali servizi. Ciò si evincerebbe dall’aver affidato ai Comuni, in base ai criteri stabiliti dalle regioni, l’esercizio delle funzioni amministrative, significativi poteri regolamentari nell’ambito della programmazione territoriale, la competenza nello stabilire il numero e il tipo dei veicoli da adibire ad ogni singolo servizio, le modalità di svolgimento dello stesso, nonché i requisiti per il rilascio delle licenze taxi e delle autorizzazioni NCC. Ne conseguirebbe, secondo il Tribunale, l’obbligo per gli NCC di dotarsi di rimessa nel Comune che ha rilasciato l’autorizzazione, benché ciò non sia in effetti esplicitato dalla Legge 21/1992, la quale anzi precisa, all’art. 13, comma 3, che il servizio di ncc può essere effettuato senza limiti territoriali.
Ciò premesso, Uberblack consentirebbe agli autisti un doppio aggiramento della normativa. Prima di tutto, attraverso la app gli NCC avrebbero modo di intercettare un’utenza indifferenziata mentre circolano per la pubblica via, anziché unicamente utenza specifica che ad essi si rivolge “presso la rimessa”. Secondariamente, consentirebbe ai propri conducenti di operare stabilmente al di fuori dell’ambito territoriale all’interno del quale hanno ottenuto l’autorizzazione e nel quale dovrebbero quindi avere la rimessa..
Inoltre, Uber non agirebbe come semplice intermediario ma andrebbe considerato come organizzatore di un’attività di trasporto a scopo di lucro, in quanto “promuove, organizza e gestisce l’intero servizio di trasporto effettuato dai singoli vettori dotati di autorizzazione ncc, provvedendo anche all’indicazione delle tariffe, sulle quali, a prescindere dall’eventuale minore pattuizione tra autista ed utente, parametra i propri compensi, curando gli incassi”. Uber entrerebbe quindi in concorrenza con gli altri fornitori di servizi di trasporto non di linea, e tale concorrenza andrebbe qualificata come sleale verso i taxi e gli NCC regolari. Verso i primi, in quanto gli autisti Uber non soggiacciono a tariffe amministrate, verso i secondi in quanto recide il legame tra i propri autisti e la loro rimessa. Infine, verso entrambe le categorie, in quanto, a differenza degli ordinari noleggiatori, intercettano anche utenza indifferenziata.
Il Tribunale si è altresì pronunciato sull’asserita illegittimità costituzionale della Legge 21/1992, per contrasto con gli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione. Quanto a quest’ultimo articolo, l’incostituzionalità, secondo i resistenti, sarebbe dipesa dal contrasto della normativa italiana con gli articoli 102 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il giudice, rigettando tale tesi, non ha ritenuto “che detta normativa sia idonea a limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori (art.102 TUEF), in quanto non impedisce di per sé l’utilizzazione delle nuove tecnologie, quale può essere una app, per il servizio ncc, ben potendo utilizzarsi la nuova tecnologia in modo rispettoso della normativa pubblica disciplinante il servizio consentendo, per esempio agli utenti di rintracciare, invece che il singolo autista, la rimessa di ncc più vicina o di visualizzare le rimesse site nel comune di interesse, favorendo un più rapido contatto con le stesse e consentendo al titolare di gestire liberamente il servizio utilizzando una vettura ancora parcheggiata nella rimessa ovvero una vettura in fase di rientro dall’ultimo servizio espletato.” La Legge sarebbe poi conforme all’art. 3 della Costituzione, in quanto le diverse modalità di esercizio dei servizi taxi e NCC sarebbero dirette al ragionevole obiettivo di consentire una diversa modulazione dei servizi di trasporto pubblico non di linea al fine di soddisfare diverse tipologie di consumatori. Infine, anche la tesi del contrasto con l’art. 41 Cost. sarebbe priva di pregio, posto che quest’ultimo già prevede, nella sua formulazione, la possibilità di limiti alla libertà economica quali quelli che discendono dalla Legge 21/1992.
Il giudice, si è pronunciato su diversi, ulteriori punti (per esempio, sulla legittimazione passiva delle società resistenti), che non verranno in questa sede commentati, in quanto le questioni ad essi sottesi risultano di importanza secondaria in un’ottica legislativa. Venendo quindi al dispositivo, il Tribunale di Roma, accertata una condotta di concorrenza sleale, ex art.2598 n.3 c.c., sia in capo alle società del gruppo Uber, sia all’autista F.M., ha inibito “alle parti resistenti di porre in essere il servizio di trasporto pubblico non di linea con l’uso della app Uber Black e delle analoghe app Uber-Lux, Uber-Suv, Uber-X, Uber-XL, UberSelect, Uber-Van, disponendo il blocco di dette applicazioni con riferimento alle richieste provenienti dal territorio italiano, nonché di effettuare la promozione e pubblicizzazione di detti servizi sul territorio nazionale”.
Nel complesso, la decisione offre degli spunti e delle argomentazioni ricche di interesse. Ciò non impedisce, peraltro, di sottolineare alcuni dubbi da parte degli scriventi. Un passaggio di motivazione problematico, che avrebbe meritato forse un maggiore approfondimento, è quello relativo alla legittimità della normativa in relazione alle norme del TFUE. Se é vero, come osservato dal giudice, che l’utilizzo di un’applicazione web non è precluso dalla normativa vigente, è altrettanto vero che Uber e servizi simili (compresi quelli sviluppati da taxi) si basano su tecnologie ulteriori rispetto al mero uso di internet su dispositivi portatili. Centrale in questi servizi e connesse applicazioni è infatti la reciproca geolocalizzazione delle parti, che consente alle stesse di ottimizzare i tragitti riducendo i tempi di attesa. Nel momento in cui la normativa italiana impedisse, come ritenuto dal Tribunale di Roma, la geolocalizzazione del veicolo NCC, sostituito dall’indicazione di una rimessa fissa, essa costringerebbe il consumatore a tempi di attesa sistematicamente più lunghi. Vietando al consumatore di sfruttare la tecnologia di geolocalizzazione - già esistente su pressoché ogni dispositivo mobile commercializzato - per conoscere la posizione del veicolo più vicino, la normativa gli imporrebbe un servizio meno ottimizzato e di minore qualità, con un conseguente danno. Gli scriventi non intendono qui sostenere che la Legge 21/1992, come interpretata dalla sentenza de qua, sia necessariamente illegittima per contrarietà con gli obblighi derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione Europea, anche alla luce della specialità riconosciuta ai servizi di trasporto urbano non di linea, e delle prassi e normative degli altri paesi europei. Ciononostante, la motivazione del Tribunale non pare pienamente soddisfacente e la questione merita di essere considerata più a fondo.
Il vero punto critico è però logicamente anteriore, e riguarda l’esatta interpretazione da dare alle norme della L. 21/1992. Tali norme, da un lato disciplinano il noleggio con conducente, come correttamente rilevato dal giudice, in un’ottica di servizio locale. Dall’altro, però, espressamente prevedono che esso può essere effettuato senza limiti territoriali. La contraddittorietà della disciplina rende necessario un sistematico intervento della magistratura per ricondurla ad unità. Il singolo giudice si trova quindi a dover valorizzare o gli aspetti localistici, o l’espressa assenza di limiti territoriali, delineando un equilibrio che comunque varrà per quel singolo caso. Da questo punto di vista, la ricostruzione operata dal Tribunale di Roma, che ha fatto prevalere il primo elemento sul secondo, è legittima e non irragionevole. E tuttavia, non è univoca alla luce del dato testuale.
Altro serio dubbio interpretativo è quello da dare ai concetti di “utenza indifferenziata” e di “utenza specifica”. Si tratta di elementi fondamentali della disciplina, in quanto delineano gli ambiti di utenza riservati, rispettivamente, a taxi e NCC. La Legge però, non dà alcuna definizione e i termini, nell’italiano comune, sono di estrema genericità. Il giudice ha ritenuto per esempio che quella di Uber sia utenza indifferenziata. E tuttavia, il fatto che per accedere al servizio l’utenza debba (i) registrarsi a una piattaforma, (ii) stipulare un contratto, (iii) installare software proprietario, consente ancora di ritenerla indifferenziata? Gli scriventi ne dubitano. Che dire, poi dei servizi di taxi su prenotazione nominativa, e in particolare di servizi come il taxi-aeroporto con il tassista che attende l’utente con un cartello nominativo all’uscita degli imbarchi, o del taxi come macchina nuziale? Si tratta di servizi taxi destinati a un’utenza tutt’altro che indifferenziata e che vanno infatti a sovrapporsi perfettamente con i servizi di noleggio con conducente. Vi è poi un’ulteriore questione interpretativa legata all’ambito dell’utenza del noleggio con conducente:, cosa vuol dire che l’utenza di tale servizio deve “avanzare richiesta presso la rimessa”? La norma, pur nascendo già vecchia al tempo della sua emanazione, aveva ancora un senso nel 1992. In quegli anni, i cellulari non erano ancora diffusi nel nostro paese e i servizi di trasporto non di linea si prendevano quindi o “al volo” su strada, o richiedendoli attraverso linea telefonica fissa. Ma oggi, una tale norma può essere interpretata ragionevolmente? E se sì, come? E altrimenti, quanto ancora si dovrà aspettare affinché il legislatore la sostituisca con una più adatta, dopo un quarto di secolo di attesa?
Da ultimo, riteniamo di dover citare uno dei primi passaggi della motivazione, nel quale il giudice non ha trattato un vero e proprio punto di diritto, rilevante per la decisione, ma ha piuttosto posto una premessa di ordine generale. In tale passaggio, il Tribunale ha osservato che il compito ad esso spettante non è quello “di valutare l’efficienza della normativa vigente in relazione alle attuali esigenze relative al trasporto pubblico non di linea ovvero la migliorabilità di detta disciplina in un senso più concorrenziale, come auspicato da più parti, ma di valutare la fondatezza o meno delle contestazioni oggetto del ricorso alla luce della legislazione attualmente in vigore.” Si tratta di un’osservazione scontata in un sistema caratterizzato dalla divisione dei poteri, sistema nel quale il giudice deve applicare le Leggi anche qualora ne rilevi l’inefficacia, l’inefficienza o l’ingiustizia, salvo ovviamente il rispetto della Costituzione, e in particolare del principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui al suo articolo 3. E tuttavia, il fatto stesso che il giudice, prima di entrare nel merito, abbia sentito di dover ribadire i limiti del potere giudiziario, dovrebbe portare il legislatore a ricordarsi che è proprio oltre quei limiti che comincia il proprio potere, ossia quello legislativo. E’ al Parlamento che spetterebbe semmai “valutare l’efficienza della normativa vigente” e di riformarla “in un senso più concorrenziale, come auspicato da più parti”, senza delegare continuamente alla magistratura il compito di distillare una disciplina più o meno organica da un insieme contraddittorio e lacunoso di norme.
Non possiamo nascondere la nostra preoccupazione per il futuro del settore del noleggio con conducente. Si tratta di molte migliaia di lavoratori italiani, quotidianamente consegnati all’arbitrio applicativo di una normativa obsoleta e disorganica, che in 25 anni il legislatore non ha avuto la capacità, né la volontà di riformare.
On. Ivan Catalano
Avv. Gabriele Matteo Fiorentini
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