Dopo le visite di cui ho parlato nel primo resoconto, e prima di recarci a Gerusalemme, ci siamo recati a Be'er Sheva, il principale centro del Negev. Il Negev è il grande deserto meridionale che ricopre 2/3 del territorio israeliano. Di anno in anno, la sua estensione però si riduce. Abbiamo potuto osservare le modalità con le quali, grazie al riuso delle acque di scarico umano e grazie alla desalinizzazione ad osmosi inversa, il deserto si ritira, dando spazio a coltivazioni, zone alberate e aree cespugliose. In Negev risiedono diverse tribù beduine. A pranzo, ci siamo incontrati con un esponente di tale comunità, un giudice distrettuale conosciuto casualmente il giorno prima, presso l'ambasciata italiana di Tel Aviv (approfondir in sede conclusiva). La discussione col giudice, più che sulle questioni legali, si è allargata alla storia e alle vicende delle tribù beduine presenti in Israele, della difficile opera di sedentarizzazione che, tra resistenze e difficoltà, ha portato però a una sempre crescente scolarizzazione e a un ruolo crescente della comunità a diversi livelli dello Stato e della società israeliana.
Nel pomeriggio, abbiamo visitato il Parco Tecnologico di Be'er Sheba, frutto di una partnership tra la Municipalità, l'Università Ben Gurion e una succursale della giapponese Kajima Corporation. Si tratta di un cluster industriale, in continua crescita, completamente dedicato all'high tech. Al suo interno si sono posizionati, con incubatori, centri di ricerca, o vere e proprie sedi, non solo start up israeliane, ma anche importanti multinazionali. Lo stesso esercito israeliano ha scelto di creare qui un centro di R&S nelle telecomunicazione. Sempre all'interno del Parco, abbiamo avuto un incontro con la dottoressa Karine Ben-Simhon, dell'Autorità Nazionale di Cyber Security, che ci ha illustrato, ovviamente con alcuni omissis, la strategia e l'infrastruttura predisposta da Israele per difendere lo spazio digitale israeliano da attacchi. Un ruolo centrale ha ovviamente l'Autorità stessa, posta sotto la diretta dipendenza dell'Ufficio del Primo Ministro, che raccoglie i segnali di attacco provenienti da soggetti pubblici e privati e coordina la risposta a tutti i livelli. Una tale centralizzazione della cyberdifesa ha importanti vantaggi, e non solo in termini di pooling delle risorse. Infatti, l'esistenza dell'Autorità consente allo Stato di avere piena informazione su attacchi coordinati, nei quali magari vengono separatamente colpiti, secondo un unico disegno, diversi soggetti pubblici o privati. In assenza di un Autorità centrale, le diverse vittime potrebbero non venire neppure a conoscenza dell'attacco portato alle altre, non riuscendo così a rendersi pienamente conto della portata, delle conseguenze e della strategia degli attaccanti. Ritengo che anche noi, in Italia, dovremmo intraprendere al più presto, ovviamente con gli opportuni adattamenti, la stessa strada seguita in materia da Israele.
Il traffico in entrata a Gerusalemme ci ha fatto quasi invidiare Roma ma, finalmente, siamo arrivati alla nostra sistemazione, quasi a ridosso della Città Vecchia. Nei due giorni seguenti, abbiamo alternato visite a contenuto storico-culturale-turistico con incontri di natura politica o diplomatica. Per quanto riguarda le prime, ricca di sorprese è stata la visita del Santo Sepolcro, di fatto un condominio tra ben sei diverse confessioni cristiane, con rigide regole - il cosiddetto status quo - che governano ogni aspetto della divisione degli spazi e le inevitabili, seppur sopite tensioni. Incredibile poi la vista della città dall'alto, sia dal Palazzo del Governatore che dal Monte degli Ulivi, un'esperienza appagante e coinvolgente. Siamo stati anche a Yad Vashem, il museo della Shoah. Quello del legame tra Shoah e Israele è un tema delicato. D'altra parte, lo stesso sionismo moderno, ancor prima di assumere un carattere progettualmente nazionalista, è la risposta pragmatica che Theodor Herzl immagina a fronte del risvegliarsi in europa - a inizio del '900 - delle persecuzioni antiebraiche. Si deve poi considerare l'influenza diretta, dell'olocausto nella partenza di così tanti ebrei europei, fra cui numerosi sopravvissuti, verso la Palestina Mandataria. Dalla mia visita ho tratto piena consapevolezza di quanto la memoria e le cicatrici della shoah rappresentino una parte significativa dell'identità ebraica, sopratutto nel suo profilo non religioso, ma nazionale/culturale. Verosimilmente continueranno a farlo per molte generazioni.
Fine della seconda parte.
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