lunedì 21 marzo 2016

Referendum "NOTRIV": io non andrò a votare

Buongiorno a tutti.

E' da ormai due anni che lavoro a favore della mobilità elettrica, con l'obbiettivo di ridurre la dipendenza del nostro paese dalle fonti fossili. Da ultimo, sono riuscito a fare approvare un emendamento nella Legge di Stabilità 2016, grazie al quale sarà possibile utilizzare il Fondo nazionale per il rinnovo del parco veicolare del trasporto pubblico locale anche per la riqualificazione elettrica di autobus già circolanti, ossia per la sostituzione del loro motore a combustione interna con un motore elettrico.
Ho esitato prima di pronunciarmi sul referendum, studiando e ristudiando la questione da vari punti di vista. Altri politici hanno ben fiutato il vento e, pur giungendo alle mie medesime conclusioni, ben si guarderanno dal prendere una posizione netta, rimanendo in silenzio o adeguandosi - per ragioni politico-elettorali - a una posizione in cui in realtà non credono.

LA NORMATIVA

Vorrei affrontare in modo serio e argomentato le motivazioni della mia scelta di non partecipare al voto sul referendum del 17 aprile 2016, il cui quesito chiede: «Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)", limitatamente alle seguenti parole: "per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale"?».

Per comprendere il senso del quesito, dobbiamo ripercorrere un po' di cronistoria della norma di cui si chiede l'abrogazione.
Il comma incriminato, il numero 17 dell'articolo 6 D.lgs. 152/2006, inserito nel 2010è stato modificato il 18 dicembre 2012, nella Legislatura XVI, sotto il governo Monti. Il comma è un passo importante per il paese, in quanto pone un serio punto alla salvaguardia delle coste e del mare italiano, ponendo il divieto alla ricerca e coltivazione di idrocarburi fino alle 12 miglia. Il testo conteneva, giustamente, una deroga, tutelata dalla giurisprudenza, per chi era titolare di una concessione rilasciata antecedentemente all'entrata in vigore della norma così modificata. Fino al dicembre del 2015 tale norma è rimasta tale. Il Governo Renzi, con la legge di stabilità 2016, ha deciso di modificare la norma, sostituendo la parte relativa alle concessioni con invece i titoli minerari abilitati, in quanto c'è stato un avanzamento dell'iter per alcune concessioni.

Il testo del comma 17 attualmente è così: 
"17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtu' di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea e internazionali sono vietate le attivita' di ricerca, di prospezione nonche' di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. ((Il divieto e' altresi' stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi gia' rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attivita' di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonche' le operazioni finali di ripristino ambientale)). Dall'entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma e' abrogato il comma 81 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l'aliquota di prodotto di cui all'articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l'olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione e' tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell'incremento dell'aliquota ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, per assicurare il pieno svolgimento rispettivamente delle azioni di monitoraggio e contrasto dell'inquinamento marino e delle attivita' di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare."
Il referendum quindi chiede di togliere la parte che ho evidenziato in giallo. Attualmente un titolo minerario ha la durata di 30 anni, e può essere prorogato 2 volte, una volta per 10 anni e una seconda volta per 5 anni, fino a raggiungere una durata massima di 45 anni. come descritto nell'articolo 29 della Legge 613/1967, e può venire prorogato, dopo i 30 anni con proroghe quinquennali, secondo l'articolo 9 comma 8) della Legge 9/1991, al fine di completare lo sfruttamento del giacimento. Le proroghe sono legate comunque alla vita del giacimento. Se il referendum passa, il titolo verrà prorogato con il regime attuale e non con quello specifico previsto dal comma 17 del D.lgs 152/2006,  il titolo potrà valere solo per l'autorizzazione di 30 anni, limitatamente anche per i titoli già abilitati sotto le 12 miglia. La riprova del fatto che il divieto delle 12 miglia viene rispettato, è dato dal recente comunicato del MISE, che ha rigettato ben 9 istanze interamente ricadenti e 18 istanze parzialmente ricadenti per la parte interferente. 

IL QUADRO PRODUTTIVO E I CONSUMI

Conclusa questa cronistoria, vorrei invece prendere in esame il punto di vista delle risorse petrolifere e dei derivati e come questo referendum può intaccarle.

Per prima cosa, occorre capire il quadro nazionale di riferimento: 


Import/export di "Carboni fossili e ligniti; petrolio greggio e gas naturale" dati Assoporti
I dati mostrano un calo del commercio di tali prodotti, via mare mediante i porti italiani, con una diminuzione 2006/2014 di circa il 35% dell'import e di circa il 59% dell'export.

Dai dati di Unione Petrolifera possiamo invece è possibile trarre informazioni sull'andamento del consumo energetico, del mix energetico disponibile, della domanda di prodotti raffinati e dell'attività delle raffinerie.
Per quanto riguarda il consumo di energia il trend è negativo. Ogni anno il consumo diminuisce. Si nota però che il consumo da fonte di energia rinnovabile aumenta, decrescendo quello da combustibili, petrolio e gas. Le importazioni invece rimangono pressoché costanti.


Per quanto riguarda invece i consumi di prodotti derivati dal petrolio, dal 1995 al 2014 c'è stata una netta diminuzione del 40%, dovuta principalmente ad una drastica diminuzione del 97% dell'uso dell'olio combustibile nelle centrali termoelettriche.
È aumentato il consumo di benzine e di gasolio per autotrazione, diminuendo drasticamente l'uso di gasolio per riscaldamento, segno di un cambio di abitudini nel modo di riscaldare casa, verso l'allacciamento alla rete nazionale o mediante solare termico.
Le raffinerie hanno migliorato i rendimenti e ridotto gli sprechi dell'1,6% circa. 






CONCLUSIONI

Il referendum non riguarda quindi tanto nuove trivellazioniquanto piattaforme estrattive già in attività, sulla base di concessioni introdotte anteriormente al divieto di prospezioni entro le dodici miglia. 
Le raffinerie italiane nel 2014 (ultimo dato consolidato disponibile) raffinano il 7,85% del greggio nazionale e l'8,16% del gas naturale nazionale. L'importazione di greggio è ancora preponderante, naturalmente, e si attesta intorno al 82%. 
Sul sito del MISE, troviamo una statistica interessante, che permette a chiunque di monitorare i titoli minerali e le concessioni di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Scopriamo dunque che le piattaforme marine In massima parte, estraggono gas, non petroliomalgrado le fuorvianti immagini di sversamenti apocalittici diffusi dai sostenitori del sì ed è proprio quel gas raffinato in casa di cui parlavo in precedenza. Se diamo un'occhiata ai dati di Snam rete gas ci accorgiamo che il trend del gas immesso in rete è in discesa e che l'approvvigionamento domestico è di circa il 10%, anch'esso in diminuzione. 

Stiamo parlando di impianti esistenti, non di ulteriore consumo di territorio. Dismetterli prima che siano esauriti i giacimenti è economicamente folle, ma non solo. La loro costruzione ha già determinato un "costo" ambientale, che non verrà restituito dal chiuderle. La chiusura anticipata dei giacimenti potrebbe costrarci un maggior approvvigionamento dall'estero. A mio avviso questo ultimo scenario ci renderebbe ancora più debole la nostra politica estera, limitandoci anche nella politica energetica nazionale. Gli accordi con i fornitori vanno rispettati e quindi l'investimento interno in energia rinnovabile imbrigliata. 

Da ogni punto di vista, è un assurdo spreco di risorse.

Non voglio approfondire la questione del lavoro perché non la ritengo in sé decisiva. Ogni cambiamento industriale determina nel breve periodo delle perdite di lavoro e delle possibili difficoltà di reinserimento. Tuttavia, queste evoluzioni si possono accettare in un'ottica di lungo periodo, semmai aiutando nel breve chi rimane disoccupato, con misure eque e non discriminatorie. Ma certamente anche questo costo va messo nel conto complessivo.

Vi è, invero, un aspetto preoccupante della normativa attuale. E' quello per cui non si prevede l'indizione di una nuova gara al termine delle attuali concessioni. Sono dell'idea che, non solo in questo campo ma in tutti, le concessioni vadano concesse sulla base di procedure aperte e con massima contendibilità. L'usanza, tipicamente italiana, di rinnovare per anni concessioni scadute all'originario vincitore è sempre meno sostenibile, anche alla luce dei principi e del diritto europeo. Sfortunatamente, l'attuale formulazione del referendum non consente di rimediare a questo problema (nè in effetti, avrebbe potuto, dato che si tratta di un referendum abrogativo) soltanto: o tutto, o nulla. Anche qualora il referendum non passasse, il Governo dovrebbe comunque intervenire sulla norma, che nella sua attuale formulazione pare decisamente anti-concorrenziale.

Il vero senso del referendum è essenzialmente politico, come candidamente dichiarato dai suoi promotori e comprende il non celato obbiettivo di mettere in difficoltà il Governo Renzi. Obbiettivo lecito, certamente, ma che non può essere perseguito a spese dei contribuenti e, soprattutto, dell'interesse nazionale. La politica energetica del paese non è un gioco: è la questione primaria nel futuro della nazione. Ogni più piccolo errore è tale da ripercuotersi orizzontalmente  sulle famiglie e sull'intero comparto industriale. Eventuali scelte errate prese oggi, anche se apparentemente piccole, vanno a cumularsi con quelle del passato. E sfortunatamente, nel passato, abbiamo già fatto errori che hanno reso l'Italia meno libera geopoliticamente, e più dipendente da fonti poste al di fuori delle nostre frontiere.

Quella che dovrebbe essere una riflessione a freddo è stata trasformata in una guerra ideologica. Chiunque esprima perplessità sul - pessimo - quesito referendario viene automaticamente additato come servo dei petrolieri, per non dover affrontare il merito dei dubbi, fondatissimi, posti. In verità, io l'obbiettivo da perseguire l'ho già scelta ed è quello del fotovoltaico diffuso, industriale e domestico, e della mobilità elettrica (qui alcune mie riflessioni e azioni - Retrofit). Questa mia direzione politica non mi priva però del pensiero critico, e della capacità di esaminare ogni singola proposta per ciò che è, non per ciò che vorrebbe essere. 

Infine il rischio ambientale. Essendo il commercio di petrolio e altri prodotti diminuito nel mediterraneo, il rischio di sversamento da petroliera si è abbassato notevolmente. Il calo del commercio, oltre che per ragioni legati al calo dei consumi per la crisi, è dato anche da un maggior approvvigionamento nazionale delle risorse. Le piattaforma offshore, se passe il referendum, non diminuirebbero nell'immediato, ma forse tra qualche anno. Il rischio pertanto diminuirebbe ma non in modo così determinante, dato che comunque le trivellazioni marittime riguardano più che altro il Gas e non il petrolio.

Infine per tutte queste mie riflessioni e argomentazioni NON voterò al referendum. Il che non significa arrendersi alla situazione attuale. A tutti quelli che vogliono superare l'attuale società del petrolio, voglio ricordare la più famosa osservazione del Prof. Fuller"Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta". E molti, anche in Italia, ci stanno già provando.

Ivan Catalano


PS: tutte le analisi dei dati, a parte quelle prese da Cittadini reattivi, sono mie elaborazioni, frutto di aggregazione di dati pubblici forniti da fonti attendibili.

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